Maxence Fermine, scrittore francese, ha pubblicato romanzi di fama mondiale per adulti e per ragazzi ed è stato tradotto in più di 16 lingue. Fra i suoi romanzi più noti la trilogia dei colori (Neve, Il Violino nero e L’apicoltore), Opium e nella letteratura per ragazzi, La trilogia del regno delle ombre.
La libertà narrativa di Maxence Fermine è il primo elemento di spicco dei suoi romanzi in cui lo stile assolutamente unico combina la prosa del racconto con la musicalità di immagini poetiche che si susseguono, fatte di colori e di spazi di armonia, assolutamente vitali.
La sua sensibilità e cordialità ci onora. Siamo gioiosi di aver ricevuto da lui questa intervista, come egli stesso ci scrive, da “amici della letteratura”. Quale più dolce espressione per chi nella letteratura cerca l’umanità tutta e attraverso la scrittura riesce a raggiungerla?
- Maxence, ci permetta di iniziare subito con una domanda diretta, così come Lei fa nei suoi libri che creano, sin dalla prima pagina, intimità col lettore. E’ opinione comune che lo scrittore riesca veramente ad esprimere in pienezza le emozioni e i segreti della sua mente, è necessario che ciò sia vero o la scrittura può riuscire a rendere indecifrabile la personalità dell’autore, staccandosene totalmente? Ha mai scelto, per riserbo, di censurare i suoi pensieri o trova sempre il coraggio di scrivere e pubblicare ciò che pensa?
- La scrittura è allo stesso tempo, un modo per entrare in scena e per celarsi dietro un personaggio. La risposta è quindi più sottile di quanto appare a primo acchito. Certo, lo scrittore è un catalizzatore di emozioni e, senza una profonda sensibilità, è quasi impossibile scrivere un romanzo nel quale il pubblico possa immedesimarsi. In questo senso sì, nelle pagine che scrivo svelo la mia anima e i suoi segreti e le persone che mi conoscono meglio hanno la facoltà di leggere tra le righe e di riconoscermi nei personaggi dei miei romanzi. Ma, alla maniera degli attori che ricoprono un ruolo, posso anch’io nascondermi dietro un personaggio e seguire i suoi passi e le sue dottrine senza per questo condividere le sue idee e il suo carattere. In un certo qual modo, si tratta di un gioco di luci ed ombre nel quale appaio spesso sul palcoscenico per poi sparire dietro le quinte e confondere meglio le mie tracce.
- La sua prosa crea atmosfere fantastiche, quasi liriche ed è originale rispetto a molta narrativa degli ultimi decenni che si omologa alla realtà, scegliendo spesso temi attuali strettamente legati a situazioni urbane. Quanto pensa che il francese, la sua madrelingua, incida sul suo stile? Ha mai immaginato che se avesse scritto in un’altra lingua ciò avrebbe potuto modificare la sua scrittura?
- Penso che qualsiasi lingua con una bella musicalità sarebbe adatta per me. L’italiano, lo spagnolo e persino l’inglese possiedono quella grazia e quella dolcezza che si confanno al ritmo delle mie frasi. Senza dubbio, avrei trovato più difficoltà con le lingue germaniche, o gutturali, anche se Goethe, in fondo, se l’è cavata egregiamente. Il francese però, lingua ricca, a tratti difficile, ma piena di sfumature, si adatta perfettamente. Non mi pongo, quindi, la questione della lingua e mi accontento di imparare ogni giorno a dominare meglio la lingua di Molière, che è già questa una grande impresa.
- Ha mai temuto che la traduzione dei suoi romanzi potesse non svelare a pieno la sua scrittura e rischiasse di diventare altro?
- No, confesso di avere una totale fiducia nei miei traduttori e penso, del resto, che sia necessario dare fiducia alle persone in generale. Non è mio compito giudicare il loro lavoro, ma dell’editore e dei lettori.
- Se voltiamo lo sguardo ai tempi passati in cui scrittori ed artisti erano i protagonisti della società e di quel passato hanno lasciato le tracce più belle, oggi viviamo quasi il fenomeno opposto, che esclude dagli ambienti più “sociali” chi si occupa di materie umanistiche. Lei non sente questa solitudine e lontananza? Ha l’esigenza di incontrare i suoi colleghi scrittori, i lettori ed il pubblico?
- La solitudine dell’autore è sicuramente quanto di più difficile ci sia da gestire. La mia è compensata da tre cose. Prima di tutto, credo di avere un bisogno viscerale di isolarmi ogni giorno per qualche ora, e di non fare altro che scrivere ascoltando una musica rilassante. Più gli anni passano e più questo bisogno, che al giorno d’oggi è diventato un privilegio, diventa reale. In genere, scrivo la mattina dalle 8:30 alle 12:00. In secondo luogo, sono circondato dalla mia famiglia, mia moglie, le mie due figlie e le mie sorelle. Infine, collaboro regolarmente con la rivista Alpes Magazine che mi offre l’occasione di uscire dal mio studio e di confrontarmi col territorio alpino e gli umani che lo abitano. Ad esempio, sono di ritorno da un reportage all’Hotel du Montenvers, a Chamonix. Prima di questo, ho fatto per dieci anni incontri in più di 80 licei in Francia e in numerose sale e librerie. Ora ne faccio di meno, per scelta, perché considero che il motore di questo mestiere sia il piacere della scrittura.
- Quali sono gli scrittori contemporanei a cui si sente più vicino e le caratteristiche che contraddistinguono le sue scelte letterarie?
- Amo, prima di tutto, i narratori che hanno uno stile fuori dal comune, una voce particolare. Preferisco autori come Mathias Malzieu, Laurent Gaudé, Philippe Claudel o, tra quelli con un registro più particolare, Michel Houellebecq. Tra gli italiani leggo regolarmente De Luca o Baricco. Ma amo leggere anche cose diverse, come libri di fantascienza (Ray Bradbury, Georges Orwell, Philip K. Dick, …) o per ragazzi (Roald Dahl, John Green) o ancora la letteratura di montagna (Frison-Roche, Lionel Terray…).
- L’opera di un artista vive una vita indipendente dall’autore stesso. Si dimenticano gli uomini, ma l’arte resta. Le dispiace quest’idea o pensa che in ciò risieda la magia legata allo spirito immortale dell’uomo?
- L’artista ha il potere di cambiare la vita delle persone o, in maniera più sobria, di influenzarla. È in questo che l’arte possiede una dimensione universale. Un semplice racconto come Neve ha toccato migliaia di persone, ed è questo che rende l’arte preziosa. Ritengo che creare dia all’autore una sorta d’immortalità che, dopo tutto, forse non è altro che un’illusione. Ma un’illusione è già molto. Cosa sarebbe l’uomo senza il potere dei sogni?
- Se volessimo considerare la lingua un modo di sentire, dovremmo riconoscere, nella complessità e diversità riflessa nella letteratura mondiale, l’infinita ricchezza dell’umanità. Perché si tende ad amare l’originalità, l’estro e il genio nell’arte e negli artisti, ma è ancora così difficile per alcune società contemporanee che pure leggono e producono arte, accettare le diversità e il multiculturalismo?
- Qui risiede tutto il paradosso dell’animo umano. Glorifichiamo il genio, l’inventiva e l’originalità di certi artisti, ma allo stesso tempo questo ci fa paura, o semplicemente non ci fa piacere perché si ha sempre paura di quello che non si riesce a controllare. Per questo, l’artista non deve aver paura di distinguersi dagli altri. I miei sogni, la mia fantasia, la mia immaginazione, che sono state considerate a lungo degli handicap per la vita reale, sono diventati una forza dal momento in cui sono riuscito a scrivere il mio primo romanzo. Non ringrazierò mai abbastanza i lettori, e soprattutto gli italiani, perché questo mi ha cambiato la vita.
© Giorgia Mercedes Parente
TESTO ORIGINALE IN LINGUA FRANCESE
Maxence Fermine, écrivain français, a publié des romans de renommé internationale pour adultes et adolescents, qui ont été traduit dans plus de 16 langues. Parmi ses romans les plus célèbres, la trilogie des couleurs (Neige, Le Violon Noir et l’Apiculteur), Opium et dans la littérature pour adolescent, Le Palais des ombres.
La liberté narrative de Maxence Fermine, est le premier élément marquant dans ses romans dans lesquels le style absolument unique combine la prose du récit avec la musicalité des images poétiques qui se suivent, faites de couleurs et d’espaces harmonieux, absolument vivants.
Sa sensibilité et cordialité nous font honneur et nous sommes heureux de l’avoir reçu en interview en tant qu’ « amis littéraires », comme lui-même nous décrit. Y a-t-il plus douce expression pour qui cherche l’humanité dans la littérature et à travers l’écriture parvient à l’atteindre ?
- Maxence, vous nous permettez de commencer tout de suite avec une question directe, comme vous le faites dans vos romans qui, dès la première page, instaurent de l’intimité avec le lecteur. Il est de l’opinion publique de croire que l’écrivain parvient à exprimer avec plénitude les émotions et secrets de son esprit. Est-il nécessaire que cela soit vrai ou l’écriture peut réussir à rendre indéchiffrable la personnalité de l’auteur, s’en détachant totalement ? Avez-vous jamais choisi, par réserve, de censurer vos pensées ou vous trouvez toujours le courage d’écrire et de publier ce que vous pensez?
- L’action d’écrire est tout à la fois une manière de se mettre en scène, mais aussi de se cacher derrière un personnage. La réponse est donc plus subtile qu’elle n’y paraît au premier abord. Bien entendu, l’écrivain est un catalyseur d’émotions, et sans profonde sensibilité, il est quasiment impossible d’écrire un roman dans lequel le public puisse se retrouver. En ce sens-là, oui, je dévoile mon âme et les secrets de mon esprit dans les pages que j’écris. Et les personnes de mon entourage ont la faculté de lire entre les lignes, et de me reconnaître dans mes personnages de romans. Mais, à l’instar des acteurs qui endossent un rôle, je peux aussi très bien me cacher derrière un personnage, et suivre ses pas et ses doctrines sans pour autant partager ses idées et son caractère. En quelque sorte, il s’agit là d’un jeu d’ombre et de lumière où j’apparais bien souvent au-devant de la scène, puis disparaît en coulisses pour mieux brouiller les pistes.
- Votre prose instaure une atmosphère fantastique, presque lyrique et cela est original par rapport à nombre de narrations de ces dernières années, qui se conforment à la réalité, choisissant souvent des thèmes actuels extrêmement liés aux situations urbaines. Pensez-vous que votre langue maternelle, le français, ait une influence sur votre style ? Avez-vous déjà imaginé que, si vous aviez écrit dans une autre langue, cela aurait pu modifier votre écriture ?
- Je pense que toute langue comportant une belle musicalité m’aurait convenu. Ainsi l’italien, l’espagnol, et même l’anglais possèdent cette grâce et cette douceur qui conviennent au rythme de mes phrases. Sans doute aurais-je eu plus de mal avec des langues germaniques, ou gutturales, encore que Goethe s’en soit très bien sorti. Mais le français me convient parfaitement, langue riche, parfois difficile, mais pleine de nuances. Donc je ne me pose pas la question de la langue, et me contente d’apprendre chaque jour à maîtriser un peu mieux la langue de Molière, ce qui est déjà une vaste entreprise.
- Avez-vous déjà eu peur que la traduction de vos romans ne reflète pas pleinement votre écriture et la fasse devenir autre chose ?
- Non, j’avoue que j’ai une confiance totale envers mes traducteurs, et je pense d’ailleurs qu’il faut faire confiance aux gens d’une manière générale. Ce n’est pas à moi de juger leur travail, mais à l’éditeur et aux lecteurs.
- Si on jette un œil au temps révolu, où les écrivains et les artistes étaient les protagonistes de la société en nous laissant de ce passé des traces intemporelles, aujourd’hui on vit dans un monde quasiment inversé, qui exclut ceux qui exercent des professions « artistiques » des sphères sociales. Ressentez-vous cette solitude et éloignement ? Avez-vous cette volonté de rencontrer vos collègues écrivains, lecteurs et public ?
- La solitude de l’auteur est sans doute ce qu’il y a de plus difficile à gérer. La mienne est compensée par trois choses. D’abord, je crois que j’ai un besoin viscéral de m’isoler quelques heures par jour, et de ne rien faire d’autre qu’écrire en écoutant de la musique relaxante. Plus j’avance en âge et plus ce besoin, qui de nos jours est devenu un privilège, est réel. En général, j’écris le matin de 8h30 à 12h. En second, je suis très entouré par ma famille proche, ma femme, mes deux filles et mes deux sœurs. Enfin, je collabore régulièrement à la revue Alpes magazine qui m’offre l’occasion de sortir de mon bureau et d’être confronté aux territoires alpins et aux humains qui l’habitent. Ainsi je reviens d’un reportage à l’hôtel du Montenvers, à Chamonix. Avant cela, pendant dix années j’ai fait des rencontres dans plus de 80 lycées de France, ainsi que de nombreux salons et librairies. J’en fait moins maintenant par choix, car je considère que le moteur de ce métier est le plaisir de l’écriture.
- Quels sont les écrivains contemporains de qui vous vous sentez le plus proche et les caractéristiques qui distinguent vos choix littéraires ?
- J’aime avant tout les conteurs, et ceux qui ont un style décalé, une voix particulière. Ainsi je suis au gré de mes envies des auteurs comme Mathias Malzieu, Laurent Gaudé, Philippe Claudel ou dans un registre plus particulier Michel Houellebecq. En Italie, je lis régulièrement De Luca ou Barricco. Mais j’aime aussi lire des choses différentes, comme de la science-fiction (Ray Bradbury, Georges Orwell, Philip K.Dick, …) de la jeunesse (Roald Dahl, John Green) ou de la littérature de montagne (Frison-Roche, Lionel Terray…).
- L’œuvre d’un artiste vit une vie indépendante de l’auteur même. On finit par oublier les hommes mais l’art, ne s’oublie pas. Cette idée vous déplaît-elle ou vous pensez qu’en cela réside la magie liée à l’esprit immortel de l’homme ?
- L’artiste a le pouvoir de changer la vie des gens, ou plus sobrement de l’influer. C’est en cela que l’art possède une dimension universelle. Un simple conte, comme Neige, a pu toucher des milliers de gens, et c’est cela qui rend cet art précieux. Je pense que créer apporte à son auteur une sorte d’immortalité, qui n’est peut-être après tout qu’une illusion. Mais une illusion, c’est déjà beaucoup. Que serait l’homme sans le pouvoir des rêves?
- Si l’on veut considérer la langue comme un moyen de ressentir, nous devrions reconnaître, dans la complexité et diversité reflétée dans la littérature mondiale, la richesse infinie de l’humanité. Pourquoi avons-nous tendance à aimer l’originalité, l’inventivité et le génie de l’art et des artistes, mais il est toujours si difficile pour certaines sociétés contemporaines, qui pourtant lisent et produisent de l’art, d’accepter la diversité et le multiculturalisme ?
- C’est là tout le paradoxe de l’âme humaine. On glorifie le génie, l’inventivité, l’originalité de certains artistes, mais en même temps cela nous fait peur, ou tout simplement nous déplaît car on a toujours peur de ce qu’on ne maîtrise pas soi-même. Pour autant, l‘artiste de doit pas avoir peur de se démarquer des autres. Mes rêves, ma fantaisie, mon imagination, qui sont demeurés longtemps des handicaps pour la vie réelle, sont devenus une force dès que j’ai pu parvenir à écrire un premier roman. Je ne remercierai jamais assez les lecteurs, et surtout les italiens, car cela a changé ma vie.
Traduzioni di Maria Letizia Fanello